Le grandi pietre delle divinità arcaiche
Sono 5.000 anni che le stele degli Dèi si ergono verso il cielo. Il deserto spirituale in noi non avanzerà!
Introduzione e spunti artistici
Molti di voi conosceranno il pittore tedesco Caspar David Friedrich, noto per quadri d’ispirazione romantica quale “Viandante sul mare di Nebbia” o “L’abbazia nel querceto”. Forse non tutti conoscono però la sua ampia produzione di disegni e dipinti ritraenti tombe megalitiche in scenari invernali quali Spaziergang in der Abenddämmerung, Hünengrab im Herbst e Huenengrab im Schnee .
Soggetti ritratti anche da un suo continuatore ideale, Johan Christian Dahl. Presso entrambi la visione romantica di un passato cui guardare con il cuore denso di ammirazione e nostalgia si popola anche di grandi testimonianze litiche del passato, teatro di passeggiate serali e solitarie.
In Galles, nel parco dello Snowdonia in particolare, il regista di origini polacche Roman Polanski ambienta la sua versione del McBeth. Qui l’incoronazione del re avviene tra le possenti colonne litiche di un imprecisato e forse posticcio cerchio di pietre. Il film per la sua atmosfera lugubre e fortemente paganeggiante meriterebbe una approfondita trattazione di per sé.
Sempre nel mondo del cinema come non ricordare quel film maledetto e poco distribuito che è “The Wicker Man” dove una delle scene più suggestive avviene proprio in prossimità di un cerchio di triliti.
Le pietre sono assimilate alle ossa della Terra Madre, il suolo alle sue carni, le piante ai suoi capelli. (Mircea Eliade)
Mossi da questi precedenti illustri ci siamo cimentati in un ricerca locale in Italia, che vede come area privilegiata la Liguria, il Piemonte e la valle d’Aosta, con alcune puntate nella parte settentrionale della Lombardia.
Il cromlech del piccolo San Bernardo e altri siti nei pressi di Aosta
Nei pressi di La Thuile, al confine con la Francia e in corrispondenza del passo del Piccolo San Bernardo, si trova ad esempio il più “elevato” dei cerchi di pietra o cromlech. Elevato nel senso di altitudine. Infatti si trova ad una altitudine di 2.190 mt ed è sgombro dalla neve soltanto pochi mesi l’anno. Identificati da Petronio come gli altari di Ercole, anche per via della tendenza romana a “tradurre” le divinità altrui in termini del pantheon romano, come accade nel celebre “De Germania” di Tacito in cui Odino diventa ad esempio Mercurio. Ad ogni modo il cerchio di pietre in questione, formato da 46 pietre disposte a forma di un cerchio di 72 mt di diametro. Nonostante alcune pietre siano state distrutte, alterate nella disposizione e in alcuni casi sostituite l’insieme del sito mantiene un innegabile fascino, ancorché nel secolo scorso al momento della stesura di una strada asfaltato sia stato con ogni probabilità abbattuto un elemento litico centrale, forse un dolmen. Nei pressi del cerchio stesso sorge la cosiddetta “Columna Iovis”, che oggi sorregge una statua lignea di San Bernardo, distruttore di monumenti pagani e cristianizzatore del passo del Piccolo San Bernardo. Leggende narrano invece che sulla sommità della colonna fosse posto l’occhio di Giove, un rubino probabilmente andato a finire nelle tasche dei primi cristiani valdostani.
Parlando di questo sito già Petronio rilevava che come gli altari di Ercole “alzino il loro capo al cielo”. Una indicazione di un orientamento astronomico del sito ? Non è escluso viste gli analoghi orientamenti di molto monumenti litici europei. Le alterazioni subite dal sito non ci permettono ancora di esprimerci in modo definitivo in tal senso.
Al contrario il sito valdostano di St Martin de Corleans avrebbe certamente avuto un orientamento simbolico e astronomico, così come il sito svizzero suo “gemello” di Petit Chasseur a Sion. Purtroppo però negli ultimi anni un incauto tentativo di restauro ha fatto sì che St Martin de Corleans abbia subito alterazioni e cementificazioni irreparabili. La volontà infatti dell’opulenta regione autonoma Valle d’Aosta era di trasformare il sito in un ridicolo centro turistico commerciale di cemento che nella forma ricorda la centrale di Chernobyl. Ovviamente il risultato, oltre ad aver privato il pubblico e gli studiosi dell’accesso al sito, è fallimentare e l’alterazione perenne. Ironia della sorte nonostante gli alti costi di costruzione il centro è ancora chiuso al pubblico. L’unica cosa certa è il danno arrecato alla cultura e al tradere della stessa nel tempo.
Vedremo che l’accanimento vandalico verso il megalitismo – retaggio peraltro che trova origine nella cristianizzazione del Nord Italia – non ha carattere isolato ma anzi decisamente sistematico.
Recentemente è stato portato alla luce un cerchio di pietre e alcune sepolture, durante un lavoro di ampliamento di uno degli ospedali di Aosta.
Barmasc e le sopravvivenze litiche della val d’Ayas
In valle d’Aosta, presso il comune di Ayas sito nell’omonima valle, è possibile rintracciare numerose sopravvivenze di culti litici preromani, in parte cristianizzati. Barmasc, il pian Portola, i laghi di Resy e il Palon de Resy, la pietra scivolosa di Chatillonet.
A titolo di curiosità, riportiamo le affascinanti le leggende sulla scomparsa civiltà di Felik che sarebbe sorta in questa valle ai piedi del Monte Rosa:
Nel 1778 degli alpinisti andarono sulle alpi, alla ricerca della città di Felik in una valle bellissima. È un luogo paradisiaco, declamato dai racconti popolari in arpitano degli svizzeri e dei valdostani che ancor se ne sovvengono. Gli alpinisti vagarono per giorni alla ricerca di questa valle incantata ai piedi del Monte Rosa, ma non la trovarono mai. Eppure, l’esistenza di questa valle e del villaggio meraviglioso era testimoniata dai viandanti che ebbero la fortuna di attraversare le Alpi e che, per caso, vi ci arrivarono. Dal 1778 ad oggi il villaggio di Felik non è ancora stato ritrovato, quindi si suppone che sia stato sommerso da un ghiacciaio, assieme a tutta la valle perduta. È un luogo leggendario, simbolo di un paradiso in terra. È la Shamballa con la torre di cristallo delle nostre latitudini. (Renato del Ponte).
Ancora oggi un colle sul massiccio del Rosa è appunto denominato “Felik”.
Tornando ai culti litici in Val d’Ayas il caso principale è quello del Santuario di Barmasc e delle testimonianze circostanti. Vuole la leggenda che un pellegrino in viaggio verso la Valtournanche passando per il Col Portola stesse trasportando una quadro della Madonna. Affaticato per il difficile viaggio si fermò presso una fonte per abbeversarsi e appoggiato il quadro su di un masso presso la fonte non fu più in grado di sollevarlo. Il prete del Paese provò ad ospitare la sacra immagine nella chiesa locale, ma senza riuscirci: il quadro tornava miracolosamente presso la roccia e la fonte. Fu così che si decise di costruire il Santuario della Madonna del Buon Soccorso, presso Barmasc appunto.
Già il toponimo fa riferimento a “Barma” o “Balma”: “Una balma o barma (in francese balme, in provenzale baume, in tedesco Balm) è un tipo particolare di grotta presente in aree alpine e prealpine, spesso creata da distacco e posa in pendio di un masso erratico dalla particolare struttura: è un riparo al quale la roccia fa da tetto.”Il suffisso *asc invece è probabilmente di origine ligure o celto-ligure e rintracciabile in numerosi toponimi del Nord Italia.
E’ probabile che la fonte ancora oggi esistente e sulla quale è stato costruito il Santuario fosse non solo meta di numerosi pellegrinaggi e processioni (alcuni dei quali ancora in essere e in direzione del colle Portola) ma che fungesse per riti di “immersione” del crocifisso o per battesimi per immersione.
A poche centinaia di metri dal Santuario, presso il Pian Portola, quello che il leggendario Pellegrino voleva raggiungere è sita una pietra coppellata, di origine e datazione ignota, tanto che non esistono studi in merito. E’ però diffusa una leggenda che parla di pietre con incisi le orme di diavoli e streghe proprio presso Barmasc: non è escluso che si tratti di un tentativo si cristianizzazione e demonizzazione del luogo per impedire la sopravvivenza di qualche forma di culto ormai ridotto a superstizione.
Ci ricorda d’altro canto Eliade:
E’ il fenomeno ben conosciuto dell’occultamento di una dottrina quando la società che la conservava sta per trasformarsi radicalmente. Lo stesso fenomeno si è verificato in Europa dopo la cristianizzazione della società urbana: le tradizioni religiose precristiane si sono conservate, travestite o superficialmente cristianizzate, nelle campagne, ma soprattutto sono state occultate nelle ristrette cerchie di stregoni. Sarebbe quindi un’illusione credere di conoscere le vere tradizioni trasmesse nelle società misteriche segrete.
Di certo la fonte di Barmasc con le sue processioni e riti di immersioni trova un parallelo presso la famosa fonte di Barenton, in Bretagna. Quest’ultima, quasi sicuramente un antico Dolmen eretto presso una fonte appunto è legata al ciclo arturiano. Sino al diciannovesimo secolo è stata meta di processioni religiose volte al provocare la pioggia in periodi di siccità, tramite riti di immersione del crocifisso.
Sant’Eusebio e la cristianizzazione di Crea ed Oropa
Scendendo in Piemonte è possibile imbattersi in altre forme di cristianizzazione di monumenti litici, volte a soffocare e sostituire precedenti culti le cui caratteristiche oggi sono ipotizzabili soltanto sulla base delle forme cristianizzate che le hanno seguite.
In tal senso è interessante seguire le orme del sardo S. Eusebio, cristianizzatore tra gli altri del Biellese e del Monferrato. Vissuto tra il 283 e il 371 d.c. Eusebio fu un tenace quanto funesto evengelizzatore. Come riportato anche da fonti ecclesiastiche all’epoca il vasto territorio del Biellese e più a sud del Monferrato erano ancora quasi completamente pagani ed in particolare nelle zone rurali apparteneva ad un retaggio celtico o romano-celtico. Nella sintesi tra pantheon romano e reminiscenze celtiche infatti spiccavano il culto delle “barme” – grandi massi – cui era associato il culto femminile delle Matrone, mentre ad Apollo – ma forse sarebbe meglio dire Abellio o Belus, o Begus, o Beleno, o Gueleno, da cui la festa di Beltane – erano dedicati i boschi.
Presso Crea, un vasto territorio collinare e boscoso particolarmente irto e oggi sede dell’omonimo parco, si trovano 23 cappelle che formano un percorso sacro sino alla sommità, dove è stata edificata la Cappella del Paradiso, sotto la quale in origine era possibile trovare forse una “torre del Diavolo” e secondo alcuni storici una autentica cappella “dell’Inferno” successivamente distrutta in quanto considerata sinistra dal Canonico Cultella.
Questo particolare in qualche modo infero non deve stupire, anche sulla base di quanto detto poc’anzi: nell’azione di cristianizzazione i retaggi dei culti precedenti venivano spesso demonizzati per varie ragioni. Sia per avere un presupposto ideologico per combatterli sia per tenerne lontani i villici. Vi è poi da considerare che con il passare del tempo e l’affievolirsi delle tradizioni e dei racconti tramandati certe ritualità divenivano incomprese e si riducevano a rozze superstizioni, che, se legate ad elementi sensuali e di fertilità, diventavano facili prede delle polemiche cristiane.
Due cappelle presso Crea ricordano direttamente l’azione dell’evangelizzatore Eusebio. La prima e la seconda, poste al di fuori del parco vero e proprio.
La prima è in prossimità di una fonte miracolosa, la seconda in prossimità di un masso guaritore.
Presso la seconda cappella in particolare, quella del Riposo di S. Eusebio, ci troviamo invece in presenza di una lunga parete rocciosa sulla quale sono stati ricavati, probabilmente artificialmente, dei seggi e degli antri, ritenuti il seggio dove S. Eusebio, esausto per il trasporto della Madonna Nera sulla cima del monte di Crea, avrebbe trovato riposo e si sarebbe abbeverato presso una fonte.
Sia il seggio che la fonte sarebbero miracolosamente apparsi al suo passaggio, così come descrivono gli affreschi della cappella numero due. Ancora in tempi recenti il seggio, sopravvissuto in quanto inglobato nella leggenda cristiana, è considerato miracoloso e terapeutico. Se consideriamo che Crea era un sacro monte prima della sua cristianizzazione è lecito pensare che la fonte e il seggio curativo facesse parte di un percorso processionale, con finalità apotropaico sin dal neolitico.
Un parallelo è possibile, almeno da un punto di vista dell’impatto visivo, con le vie cave Etrusche ed in particolare quelle di Sovana e di Pitigliano. Infatti così come a Crea ci troviamo in presenza di percorsi che fendono verticalmente la roccia e lungo le pareti troviamo degli anfratti. Nel caso delle vie cave Etrusche questi anfratti sarebbero state delle tombe – a Pitigliano ad esempio – mentre a Sovana troviamo alcune iscrizioni in etrusco ed un enorme svastica.
Rimanendo sulle tracce di Eusebio ci spostiamo ad Oropa – che alcuni pensano si chiamasse Uropa, con addirittura un suffisso Ur ad indicarne la primordialità – località incastonata tra le montagne, non distante da altri luoghi oggetto del presente studio.
Qui un masso di grandi dimensioni, detto anche “Roch della Vita” ha assunto valenze cultuali e taumaturgiche sopravvissute ancora sino alla metà del secolo ventesimo. Donne che in cerca di fertilità si strusciavano il ventre e le parti basse sulla pietra, percorrendo anche percorsi quasi danzanti intorno al masso stesso. Una cappella dedicata a S. Eusebio sorge in assoluta prossimità con il masso e ne ostacola le danze cultuali e lo “strofinamento”.
Per ironia della sorte, una cappella nelle vicinanze, sempre dedicata a St Eusebio reca sul frontone una imponente svastica destrogira, peraltro come quella delle vie cave di Sovana, poc’anzi menzionate.
Vuole la leggenda che Sant’Eusebio avrebbe nascosto la madonna nera che stava portando ad Oropa proprio sotto un masso, per proteggerla dalla furia degli “eretici”. Sopra il masso fu fondata successivamente una cappella. Anche qui fonti e ruscelli abbondano, come nel caso della fonte miracolosa di Crea. Anche qui il culto mariano della Madonna Nera si sovrappone a quello della fertilità e della salute.
Come commento alla funzione di procurata fertilità propria al Roc de la Vita di Oropa basti citare questo passo da Eliade, in Miti Sogni e Misteri:
Si ritiene che i bimbi vengano dal fondo della Terra. Sotto forma di leggenda, di superstizione o semplicemente di metafora simili credenze sopravvivono ancora in Europa. Ogni regione e quasi ogni città e villaggio conosce una roccia o una fonte che porta i bimbi. Sono i Kinderbrunnen, Kinderteiche, le Bubenquellen. Guardiamoci dal credere che queste superstizioni o queste metafore siano soltanto spiegazioni per bimbi. La realtà è più complessa. E’ l’esperienza mistica dell’autoctonia. Innumerevoli credenze ci dicono che le donne diventano incinte quando si avvicinano a determinati luoghi: rocce, caverne, alberi, fiumi. Le anime dei bimbi penetrano allora nel loro ventre e le donne concepiscono. Qualunque sia la condizione di queste “animebambini” – siano o no le anime degli antenati -, una cosa è certa: per incarnarsi, hanno atteso nascoste nei crepacci, nei solchi, nelle paludi, nelle foreste: già da allora vivevano una specie di esistenza embrionale nel grembo della loro vera madre, la terra: da essa vengono i bambini. Secondo altre credenze ancora vive negli europei del secolo Diciannovesimo, dal grembo della terra li portano certi animali acquatici: pesci, rane, soprattutto cigni.
Terminando sembrerebbe che presso Crea ed Oropa il culto della Madonna, in particolare della Madonna Nera, importata da Eusebio dal vicino oriente, si sia sovrapposto ad un culto di fertilità proprio a quello delle Matrones o di divinità della cosiddetta “terza funzione” indoeuropea, per dirla alla Dumezil. Fonti miracolose, pietre magiche e boschi dedicati ad Apollo o ad Abellio: con ogni probabilità qui il culto di una Grande Madre è stato la base d’appoggio per l’innesto e la sovrapposizione del culto della Madre di Dio da parte dell’intelligente e mimetico Eusebio.
Schemi di cristianizzazione
Prendendo in esame Crea, Oropa e Barmasc è possibile tracciare precorso per così dire “interpolante” tra le leggende e i fatti storici giunti sino a noi.
Sarebbe possibile inserire nel campione in esame altri siti, ma per ora ci limiteremo a questi tre, cercando poi nel proseguo dello studio di applicare lo schema così ottenuto ad altri casi, per verificarne la tenuta e l’applicabilità.
Gli elementi in comune sono così sintetizzabili:
- Una fonte miracolosa che precede una pietra miracolosa lungo un percorso;
- Un viandante che presso di esse trova protezione e ristoro;
- La dedica alla Madonna
Riguardo il primo punto, quello dio un percorso che ha come tappe una fonte e una pietra, possiamo rilevare come in tutti e tre i casi una fonte, giudicata inesauribile, salvifica e in qualche modo miracolosa preceda il masso. Quest’ultimo ospita e protegge la statua della Madonna Nera ad Oropa, offre riposo a Sant’Eusebio che trasporta la statua a Crea; è l’appoggio per il quadro della Madonna a Barmasc.
Le tre steli gemelle
Non lontano dalla valle d’Aosta, e più precisamente nella parte settentrionale del Piemonte si trovano tre curiose e affascinanti steli. Quelle di Lugnacco, di Chivasso e di Mazzè. Tutte e tre sono state recuperate già abbattute. Ma tutte e tre presentano tra di loro interessanti analogie. Intagliate in simili dimensioni, forse dalla stessa pietra e forse dalla stessa mano si trovano oggi a distanza di una 50 di km l’una dall’altra. Vengono datate in un periodo compreso tra il 3.000 a.c. e il 1.000 a.c., ma l’attribuzione è incerta. Certamente una popolazione proto storica, che non conosceva la scrittura e di cui ignoriamo l’origine innalzò tre steli e le trasportò per un territorio assai vasto, servendosi probabilmente solo di locomozione animale. L’abbattimento delle stesse è testimoniato – in particolare dalla stele di Lugnacco – dai segni di vandalici che ancora oggi le caratterizzano. Sulla summenzionata stele si possono chiaramente identificare dei fori praticati per inserire dei tiranti e provocarne l’abbattimento. E’ opinione comune che tali fori fossero stati praticati durante il medioevo o comunque durante la cristianizzazione della Val Chiusella, dove sorge appunto l’abitato di Lugnacco. Con ogni probabilità in quella remota valle laterale dell’alto canavese una qualche forma di culto veniva ancora praticata e l’abbattimento della stele avrebbe dovuto interromperlo.
Sempre in Valchiusella ed in particolare a Traversella si può percorrere il cosiddetto sentiero della anime. Lungo questo sentiero è possibile trovare rocce coppellate e iscrizioni rupestri, così come nella località Scalaro, sempre nell’alto canavese.
Il monte Beigua
A proposito di divinità celtiche o celto liguri come Belenus di cui abbiamo parlato poc’anzi, è interessante il caso dei monti Bego in Francia e del monte Beigua, in Liguria. Probabilmente il toponimo fa riferimento a qualche figura divina, tanto che la radice indoeuropea Beg significherebbe appunto “signore divino”. Nei pressi del monte Bego si trova la cosiddetta valle della Meraviglie, ricca di incisioni rupestri, mentre presso il Beigua noi stessi abbiamo rintracciato i resti di una “strada megalitica” e al termina della stessa di un cerchio di pietre. Completamente non segnalata e non valorizzata l’area archeologica necessita di approfondite ricerche per essere individuata ma risulta certamente molto affascinante. Nel profondo della vegetazione boscosa si articola una profonda e monumentale “strada”, con tanto di monoliti di accesso e altri ormai caduti che portano, quasi in un percorso a mò di processione al cerchio di pietre. Alcuni studiosi della sovraintendenza avrebbero peraltro suggerito un percorso cultuale lungo il tragitto del sole nel giorno del solstizio d’estate. Non sappiamo se tale orientamento, descritto su di una paletta informativa presso il sito, sia stata poi effettivamente verificata mediante i metodi dell’odierna archeoastronomia.
Orientamenti solstiziali, che si ripetono invariabilmente dall’estremo nord al sud dell’Europa.
Nel giro di pochissime pagine abbiamo cercato di abbozzare un percorso introduttivo alla magia e ai retaggi di culti pagani che affondano le loro radici nella più lontana protostoria. L’intenzione che ci anima è quella di raggruppare un vasto materiale corredato da necessarie indagini sul campo – così come è stato per la i siti citati in questo breve scritto introduttivo – che documenti la vasta diffusione di culti litici e megalitici nel nord ovest italiano, anche per riscoprire forme spirituali antichissime ma anche osteggiate e completamente lasciate all’abbandono da parte della cultura ufficiale.
Testo e foto di Andrea Anselmo